domenica 19 agosto 2007

Quasi due anni fa una donna, Sara, ha deciso di rivolgersi a noi scout di Flumini per chiederci aiuto per suo figlio. Francesco, un bellissimo bambino che ora ha tre anni, aveva un grosso handicap psico-fisico: non era in grado di muovere le gambe, aveva poco controllo sulle braccia e sulle mani, poca sensibilità in tutto il corpo (in alcuni punti ancora meno che in altri), grandi problemi di cognizione visiva, un vocabolario ridottissimo, ed era incapace di formulare le frasi più semplici. Non conosceva neppure il significato delle parole Tu e Io.

Sara ci ha parlato di una terapia particolare, da attuare per cinque giorni a settimana, purtroppo non riconosciuta dai medici locali, che consiste in un programma di esercizi che si avvale delle ricerche svolte dal Dottor Carl H. Decalato di Philadelphia, che per anni si è occupato del problema della disabilità, sperimentando programmi di terapie personalizzati per bambini con problemi neurologici. Quando s’interrompe lo sviluppo neurologico (come succede nell’individuo cerebroleso) il programma prevede un intervento che inizia nel punto in cui è avvenuta l’interruzione, in modo da favorire la ripresa dello sviluppo stesso. Gli esercizi del programma non sono altro che serie di stimolazioni sia fisiche che mentali volte al tentativo di far recuperare almeno parzialmente a Francesco (che per tutti noi ormai è Franceschino) quelle facoltà sensoriali, motorie, di comunicazione e di cognizione che in altro modo non potrebbe avere, a causa della sua patologia.

Sara ci spiegò che la terapia sarebbe stata semplice e facilmente attuabile, non avrebbe richiesto attrezzature particolari, ma sarebbero stati necessari solo oggetti che si tengono generalmente in casa, come asciugamani e bottiglie, e sarebbe potuta essere applicata anche da personale non qualificato. Il supporto professionale sarebbe stato presente, ma nella semplice misura di collaborazione e guida dei genitori e volontari nel percorso riabilitativo.

Il nostro compito, qualora avessimo accettato di collaborare, consisteva nell’andare a turno (uno o due per volta) ad aiutare i genitori a praticare la terapia sul bambino.

Ciò che di negativo aveva la terapia era la fatica e la stanchezza che avrebbe dovuto sopportare Franceschino e che inevitabilmente si sarebbero ripercosse su di noi. Star lì per due o tre ore al giorno a farsi massaggiare, strofinare e quant’altro sarebbe risultato insopportabile per qualunque bambino di quell’età. Inoltre la terapia stessa era (ed è tutt’ora) a tempo indeterminato e prevedeva un impegno fisso per almeno una volta a settimana. Per quel che ne sapevamo poteva durare mesi così come poteva durare anni. Le condizioni del bambino non erano certo delle più incoraggianti, e i medici locali che lo avevano visto avevano lasciato ben poco spazio alle speranze con le loro parole “Francesco non si renderà mai conto di avere le gambe”. Ma la speranza c’era, e il coraggio di una mamma così forte e grintosa, che non si arrende davanti a nulla pur di aiutare il suo bambino, quale si era rivelata Sara, ci ha toccato il cuore nel profondo, cosicché noi raider degli scout di Flumini (in seguito seguiti da alcuni ragazzi più giovani della compagnia a cui certo non mancava la buona volontà) abbiamo accettato questo impegno con il sorriso sulle labbra. Abbiamo creato un progetto (a cui abbiamo dato proprio il nome di progetto sorriso) e organizzato dei turni di collaborazione con la famiglia di Franceschino.

Nel ringraziarci per la disponibilità Sara ci disse “Arriveremo dove Dio vuole che arriviamo”, ma Dio sicuramente ha apprezzato i nostri sforzi, il nostro lavoro e la caparbietà della famiglia di Francesco, e ha deciso di starci vicino, visti i risultati che stiamo raggiungendo.

Inizialmente la fatica era tanta, Franceschino piangeva spesso e si disperava ogni volta che la madre

usciva dal suo campo visivo. Lentamente si è abituato alla nostra presenza e si è affezionato a noi, staccandosi leggermente dalla figura materna. Noi volontari abbiamo imparato a usare il gioco come primo e fondamentale strumento di lavoro, cosa che si è rivelata utile nel rendere più leggera la terapia sia al bambino che a noi.

La prima soddisfazione è stata rendermi conto del fatto che Franceschino stava acquistando la sensibilità ai piedi. Sentiva il caldo e il freddo.

Grazie a noi, alla sua assistente Ottavia e alla sua famiglia, il bambino ha fatto tantissimi progressi, riconosciuti anche dai medici di Milano che lo visitano ogni quattro mesi.

Di fatto, Francesco a migliorato la funzionalità delle mani, ha migliorato la cognizione visiva (anche se non ancora sufficientemente), è curioso, fa domande, parla e ogni tanto si lamenta perché non ha voglia di finire la terapia. Ha imparato a formulare le prime frasi, e molti esercizi ormai li fa da solo o quasi, sotto la nostra supervisione. Ma il traguardo che per me è stato il più importante è il fatto che Franceschino ha imparato prima a strisciare, poi a gattonare.

Inoltre, all’inizio della terapia non avevamo dato il giusto peso al fatto che per Franceschino il conoscerci e il vederci spesso poteva rivelarsi lo stimolo più grande. Di fatti il bambino si è aperto molto nei nostri riguardi e anche con il resto del mondo, imparando a essere ancora più socievole e affettuoso con tutti.

Ciò che proprio non avevamo considerato era tutto il bene che Franceschino ha fatto a noi, con tutti i suoi sorrisi e tutto il suo affetto… e con ogni più piccolo progresso che, almeno per me, è una grande emozione.

Ciò che abbiamo fatto per Franceschino fin ora è tanto, ma non è tutto. Considerati i grandissimi e veloci progressi che ha fatto il bambino può ancora migliorarsi, quindi il nostro compito non è ancora finito. Probabilmente dovremmo lavorare con lui ancora per parecchio tempo, ma sono già sicura che nessuno di noi rimpiangerà mai un solo secondo passato con questo meraviglioso bambino speciale.

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